Presentazione del volume di Guglielmo Tasca, “Malacarni”.
Dialoga con l’autore Massimo Leggio.
Turiddu è un bambino che nasce e cresce in un ambiente mafioso. Un bambino, neanche troppo sveglio, che, per una serie di casi fortuiti e strane coincidenze, assurge a fama di “spietato e crudele” sin dalla più tenera età. Protagonista della storia non è lui, e nemmeno il padre, don Calogero (il vero mafioso), quanto piuttosto l’ambiente nel quale Turiddu cresce: quell’ambiente che, complice l’ignoranza, concorre a generare un’ammirazione sconfinata per le gesta eroiche sue e del padre. Quell’ambiente in cui la povertà e l’assenza di alternative fanno sì che la delinquenza diventi una reale possibilità di sopravvivenza e la sola carriera possibile. Da qui lo stupore per chi ha progredito in questo percorso e Turiddu, suo malgrado, ha iniziato presto. Ma tutto ciò è solo lo spunto, in realtà è tutto esageratamente esagerato, perché la narrazione è comica, ironica, satirica e, a tratti, sarcastica. Vengono presi in giro proprio i luoghi comuni, che caratterizzano il pensiero e il comportamento mafioso. Questo libro, se riesce a far sorridere per un attimo e a far riflettere per un altro attimo ha già raggiunto il suo scopo.
Presentazione del volume di Guglielmo Tasca, “Malacarni”.
Ingresso gratuito su prenotazione ai numeri 348-2941990 e 338-7054727
Dialoga con l’autore Massimo Leggio.
RINFRESCO FINALE
Turiddu è un bambino che nasce e cresce in un ambiente mafioso. Un bambino, neanche troppo sveglio, che, per una serie di casi fortuiti e strane coincidenze, assurge a fama di “spietato e crudele” sin dalla più tenera età. Protagonista della storia non è lui, e nemmeno il padre, don Calogero (il vero mafioso), quanto piuttosto l’ambiente nel quale Turiddu cresce: quell’ambiente che, complice l’ignoranza, concorre a generare un’ammirazione sconfinata per le gesta eroiche sue e del padre. Quell’ambiente in cui la povertà e l’assenza di alternative fanno sì che la delinquenza diventi una reale possibilità di sopravvivenza e la sola carriera possibile. Da qui lo stupore per chi ha progredito in questo percorso e Turiddu, suo malgrado, ha iniziato presto. Ma tutto ciò è solo lo spunto, in realtà è tutto esageratamente esagerato, perché la narrazione è comica, ironica, satirica e, a tratti, sarcastica. Vengono presi in giro proprio i luoghi comuni, che caratterizzano il pensiero e il comportamento mafioso. Questo libro, se riesce a far sorridere per un attimo e a far riflettere per un altro attimo ha già raggiunto il suo scopo.
Presentazione del volume di Antonio Barone “La storie di Nino”.
Dialoga con l’autore il prof. Lucio Barone.
In questo libro si racconta la vita di un uomo, un uomo che, come scrive nella sua prefazione Demetra Barone, “ha sempre sognato. Una storia qualunque di un uomo qualunque che diventa la storia unica di un uomo che sogna”. Un sogno, una serie di ricordi che ci fanno conoscere Nino, il protagonista del sogno, attraverso le persone e i luoghi che egli ha incrociato o vissuto. A far da sfondo ai racconti e alle poesie che riempiono le pagine di questo volume c’è più di mezzo secolo di storia italiana. Una storia che parte dai primi anni ‘60 del secolo scorso per concludersi “l’altro ieri”, con il racconto che ha per “protagonista” il Covid-19. In mezzo c’è la Sicilia, il paesino natio dell’autore e la sua infanzia, i suoi amori, i suoi viaggi, i suoi amici, la sua famiglia. “Questo è Le storie di Nino, un libro di racconti e poesie che ci fa conoscere la vita semplice di un uomo che continua a sognare”.
Presentazione del volume di Natale Massenzio, “C’era una volta…”.
Dialoga con l’autore Rita Luciani
Modera Leandro Nigro
In questo libro si racconta la Storia. Quella parte di storia, terrificante, che comprende la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale il terrore e l’orrore ebbero il sopravvento su tutto il resto. Molti dei protagonisti di quel periodo non fecero ritorno alle proprie case, mentre altri, dopo lunghe odissee e infinite sofferenze, riuscirono a tornare dalle loro famiglie. Ma c’è anche la storia degli uomini semplici, dove l’amore si mescola alla sofferenza, alla voglia di risorgere, dove l’irrazionalità fa irruzione nel paesaggio ordinario della Ragione. L’amore è la medicina naturale che si oppone alla sofferenza e alla morte e che cerca di lenire il dolorante animo umano, conferendogli la forza per continuare a vivere, per farlo risorgere a nuova vita. E se la Ragione aiuta l’uomo ad alleviare le sofferenze causate dai conflitti, la Natura, con i suoi colori e la sua poesia, lo indirizza verso vie inesplorate che portano alla pace interiore.
Presentazione del volume di Ciccio Schembari “Il pensiero adulto”.
Dialoga con l’autore la professoressa Lilla Anagni.
Arrivato alla “età adulta”, l’Autore ha sentito la necessità, per sua stessa ammissione, di dipanare un corrispondente “pensiero adulto” che tenga conto di quanto l’esperienza, gli studi, le riflessioni, l’attività politica, l’osservazione diretta gli ha permesso di accumulare. Lo fa con passione, spesso con sdegno o con scoperta irritazione, non lesinando all’occorrenza i “che palle!” o i “cose da pazzi!” verso vuoti cliché. Partendo dal dato storico e culturale, mescolato a quello autobiografico, Schembari ripercorre nodi e snodi del passato e del presente denunciando le cancrene che da millenni atrofizzano il nostro vivere sociale con spaventosi e insensati eccessi di crudeltà, violenza, aggressioni, sottomissioni, disparità. Da irriducibile quale si presenta, prova ad andare alla radice delle questioni fondamentali e affronta temi enormi come la figura del tiranno dall’antichità a oggi, i concetti di libertà uguaglianza fraternità e le loro deturpazioni, la responsabilità della Storia, la complessità, la bellezza della vita (“morire o rinnegare se stessi?” si chiede attraverso l’Alcesti e altri esempi contemporanei), la felicità (da Omero a Leopardi), il lavoro, lo scadimento del mito nel divismo, il rapporto mafia-politica, l’onestà, la crisi della Sinistra. Si prova rispetto per quest’opera così animata da folle ragionevolezza, per questo tentativo avventato di richiamare a un “pensiero adulto” non solo l’oscuro mondo occidentale nel quale ci troviamo a vivere, ma l’umanità intera. Sono pagine che si leggono con innegabile adesione, per la scrittura chiara, calda, diretta, senza sconti per nessuno e tanto meno per l’Autore stesso.
Presentazione del volume di Meno Occhipinti “Interviste”.
Sara Curcio Raiti intervista Meno Occhipinti sulle sue interviste
Letture a cura di Massimo Leggio
Era l’estate del 1975 e, come ogni anno, con la mia famiglia passavamo le vacanze scolastiche nella nostra casa di campagna. In quel periodo, alla radio trasmettevano un programma che passava canzoni “nuove”. Quelli erano gli anni dei cantautori e io mi ero talmente fatto prendere da quell’onda che avevo imparato a suonare la chitarra e avevo provato anch’io a scrivere delle canzoni, prendendo la decisione che “da grande” avrei fatto il cantautore. In effetti ci ho anche provato. Ma le mie canzoni non erano granché e io ero piuttosto scarso come cantante. Così ho capito che quello non poteva essere il mio futuro. Ma quel mondo mi piaceva, mi attirava. Così appena ne avevo l’occasione, andavo ad intervistare tutti gli artisti che mi capitavano a tiro di microfono, grazie ai tanti concerti e spettacoli che nei primi anni duemila passavano dalla nostra provincia e ai festival che ho avuto modo di seguire in giro per l’Europa. Adesso, rileggendole, mi sono anche reso conto che per certi versi sono ancora attuali e ho pensato che alcune di quelle che avevo raccolto nel periodo che va dal 2003 al 2022 possono essere ancora interessanti per qualcuno che non sia mio figlio, mia sorella, o i miei amici più cari.
Presentazione del volume di Fabio Wasserman, “La sponda solitaria del fiume”.
Ne discutono con l’autore Nicola Colombo e Pina La Villa
Interventi musicali del duo Strania
Una raccolta di racconti auto-conclusivi (ben nove) che si leggono come fossero un viaje letterario nei meandri occulti della coscienza segnata dalla solitudine e dalla consapevolezza che il tutto vissuto non è altro che sofferenza e disaccordo. È il percorso che Fabio Wasserman, scrittore argentino – per la prima volta tradotto in italiano – ci offre con La sponda solitaria del fiume (El lado solitario del río nell’edizione originaria). In una sorta di suggestivo andare dell’indole umana, conscia e inconscia, con mano l’Autore ci conduce nel mondo insondabile e inesplorabile dell’animo. Al punto che le sue riflessioni in prosa intrise di tanto afflato poetico, diventano le nostre suggestioni. Fabio Wasserman, così facendo e da par suo, si colloca nella scia della migliore e grande tradizione letteraria latino-americana, da Gabriel García Márquez a Jorge Luis Borges, non dimenticando Juan Rulfo. In maniera plastica, infatti, plasma il realismo fantastico del colombiano con l’esaltazione dell’ombra dell’argentino, come se il sapore del vento del messicano ci facesse rivivere oggi le persone care di ieri. Con questa opera l’Autore afferma consapevolmente che l’amore così come la mujer vestida de miedo, vale a dire la morte – Eros e Thanatos – non sono altro che rimasugli di angoscia e solitudine, e in tal modo compresi, vissuti e fatti propri.
Presentazione del volume di Fabio Wasserman, “La sponda solitaria del fiume”.
Dialoga con l’autore Nicola Colombo
Una raccolta di racconti auto-conclusivi (ben nove) che si leggono come fossero un viaje letterario nei meandri occulti della coscienza segnata dalla solitudine e dalla consapevolezza che il tutto vissuto non è altro che sofferenza e disaccordo. È il percorso che Fabio Wasserman, scrittore argentino – per la prima volta tradotto in italiano – ci offre con La sponda solitaria del fiume (El lado solitario del río nell’edizione originaria). In una sorta di suggestivo andare dell’indole umana, conscia e inconscia, con mano l’Autore ci conduce nel mondo insondabile e inesplorabile dell’animo. Al punto che le sue riflessioni in prosa intrise di tanto afflato poetico, diventano le nostre suggestioni. Fabio Wasserman, così facendo e da par suo, si colloca nella scia della migliore e grande tradizione letteraria latino-americana, da Gabriel García Márquez a Jorge Luis Borges, non dimenticando Juan Rulfo. In maniera plastica, infatti, plasma il realismo fantastico del colombiano con l’esaltazione dell’ombra dell’argentino, come se il sapore del vento del messicano ci facesse rivivere oggi le persone care di ieri. Con questa opera l’Autore afferma consapevolmente che l’amore così come la mujer vestida de miedo, vale a dire la morte – Eros e Thanatos – non sono altro che rimasugli di angoscia e solitudine, e in tal modo compresi, vissuti e fatti propri.
Presentazione del volume di Fabio Wasserman, “La sponda solitaria del fiume”.
Dialoga con l’autore Rita Luciani
Una raccolta di racconti auto-conclusivi (ben nove) che si leggono come fossero un viaje letterario nei meandri occulti della coscienza segnata dalla solitudine e dalla consapevolezza che il tutto vissuto non è altro che sofferenza e disaccordo. È il percorso che Fabio Wasserman, scrittore argentino – per la prima volta tradotto in italiano – ci offre con La sponda solitaria del fiume (El lado solitario del río nell’edizione originaria). In una sorta di suggestivo andare dell’indole umana, conscia e inconscia, con mano l’Autore ci conduce nel mondo insondabile e inesplorabile dell’animo. Al punto che le sue riflessioni in prosa intrise di tanto afflato poetico, diventano le nostre suggestioni. Fabio Wasserman, così facendo e da par suo, si colloca nella scia della migliore e grande tradizione letteraria latino-americana, da Gabriel García Márquez a Jorge Luis Borges, non dimenticando Juan Rulfo. In maniera plastica, infatti, plasma il realismo fantastico del colombiano con l’esaltazione dell’ombra dell’argentino, come se il sapore del vento del messicano ci facesse rivivere oggi le persone care di ieri. Con questa opera l’Autore afferma consapevolmente che l’amore così come la mujer vestida de miedo, vale a dire la morte – Eros e Thanatos – non sono altro che rimasugli di angoscia e solitudine, e in tal modo compresi, vissuti e fatti propri.
Presentazione del volume di Salvatore Spampinato “Giovanni Spampinato”
Dialoga con l’autore lo storico Carlo Ruta
Giovanni Spampinato era corrispondente da Ragusa dei quotidiani L’Ora e L’Unità e aveva 25 anni quando, il 27 ottobre 1972, fu assassinato all’interno
della sua Cinquecento, davanti al carcere di Ragusa, da Roberto Campria, figlio dell’allora presidente del locale tribunale, e tra i maggiori indiziati per l’omicidio del commerciante di opere d’arte Angelo Tumino, avvenuto in città otto mesi prima. L’Ora l’indomani titolò “Assassinato perché cercava la verità” e la verità che cercava Giovanni non era solo quella che riguardava l’assassinio del Tumino ma anche, e forse soprattutto, quella relativa ai rapporti tra le organizzazioni di estrema destra (in quei giorni fu notata la presenza a Ragusa di Stefano delle Chiaie e di altri fascisti legati in qualche modo a Junio Valerio Borghese, che due anni prima aveva tentato un colpo di stato) e la criminalità organizzata. Forse, quella che è da tutti conosciuta come la provincia “babba”, stupida, cioè senza mafia, così stupida non era. Anche su quello Giovanni stava indagando, sulla convergenza tra neofascismo e criminalità, ed è in quell’ambiente che probabilmente bisogna cercare il movente del suo omicidio. Ad oggi, del delitto Tumino non si conoscono né esecutore né movente.